Epidemie siccità e salute pubblica l’acquedotto e la fontana di Corinaldo definitivo

La storia della fontana che oggi si trova nella Piazza del Risorgimento è legata alla realizzazione del primo acquedotto pubblico. Una prima sintetica illustrazione dell’opera si deve a Lidia Pupilli e al suo saggio dedicato alle vicende storiche di Corinaldo nel periodo compreso tra l’Unità d’Italia e lo scoppio della prima guerra mondiale. Scrive la studiosa: Sintetizzando la storia dell’acquedotto, opera da tutti definita “grandiosa” quanto rispondente ad una necessità “urgente e assoluta”, va ricordato che la Giunta comunale, in virtù di un atto consiliare del 23 Maggio 1890, fece eseguire gli studi alla ditta Pallucchini, Ceppetelli e & di Fossombrone la quale presentò un progetto consistente nella presa e canalizzazione delle sorgenti situate presso Montesecco Antico, nel territorio di Pergola, e su terreno di proprietà del conte Marco Mattei. Si previde inizialmente una spesa di poco più di 176.000 lire. Una volta riconosciuto il progetto “possibile e pratico” dopo alcune modifiche, il 7 settembre 1892 il Consiglio comunale deliberò la contrazione di un mutuo di 195.000 lire con la Cassa Depositi e Prestiti da estinguersi in 25 annualità e autorizzò la ditta Pallucchini a costruire la struttura, tramite trattativa privata e per il prezzo di 170.000; quest’ultimo lievitò fino a raggiungere le 195.506,65 lire definitive, anche per il mutato progetto del serbatoio (un primo, affidato all’ingegnere Zenobi, venne giudicato inadatto, in particolare, “per l’ubicazione altimetrica rispetto alla città”), l’erezione della fontana in Piazza Maggiore e di una fontanella a Borgo Montale, su esplicita richiesta degli abitanti del luogo, ed altri lavori ritenuti “indispensabili”. Sotto la direzione dell’ingegnere Paolo Matteucci, i lavori di allacciamento delle sorgenti e della raccolta delle acque ebbero inizio il 4 agosto 1893 e, dopo due positivi esperimenti di misurazione dell’acqua (25 maggio 1894 e 2 settembre 1895), si conclusero il 2 luglio 1894, con tre mesi di anticipo rispetto alle condizioni contrattuali che, quanto al resto, risultarono “ampliamente soddisfatte”. L’inaugurazione della struttura – che modernizzava l’approvvigionamento idrico di Corinaldo, liberandola dai vecchi pozzi fatti costruire dall’Accattabriga sotto la dominazione sforzesca e dalle vecchie fonti costruite all’inizio del XVII secolo, e depositava dopo un percorso di 25 chilometri acque purissime nel serbatoio situato in cima al colle S. Maria – avvenne il 30 settembre 1894 e richiamò grande concorso di folla, proveniente anche dal circondario. Nei mesi precedenti il Consiglio comunale aveva studiato il modo migliore per celebrare l’evento, registrando la diversità di opinioni tra chi preferiva fare economia e chi intendeva festeggiare alla grande, nominando addirittura un’apposita Commissione comunale (composta da Tito Sforza, Paolo Brunori, Guadarte  Pasqualini e Gaetano Dominici). Il progetto dell’acquedotto di Corinaldo meritò la medaglia di bronzo all’Esposizione Internazionale di Medicina e Igiene, tenutasi a Roma nel 1894, riconoscimento ambito, visto che solo il Municipio di Ancona in tutta la provincia lo aveva ottenuto per l’impianto del Laboratorio di Igiene municipale: come disse il sindaco Perozzi, il progetto soddisfece “grandemente l’amor proprio del nostro paese”. Peraltro, per fronteggiare l’ingente prestito stipulato con la Cassa Depositi e Prestiti si dovette applicare una nuova tassa comunale con le nuove voci costituite dalle vetture, ancora a cavalli, e dai domestici[1]. Sin qui il racconto tracciato da Lidia Pupilli.

Volendo entrare nel merito dell’opera occorre dire che alla realizzazione del nuovo acquedotto il Sindaco del tempo, il già menzionato Pompeo Perozzi, dedicò tutte le sue energie. Si trattava, infatti, di un’opera “grandiosa” e di enorme rilevanza sia da punto di vista materiale, sia da quello simbolico. L’acquedotto non solo avrebbe dato risposta ai bisogni primari della comunità, ma allo stesso tempo significava portare Corinaldo tra le comunità più moderne e progredite e gli stessi contemporanei avevano consapevolezza di ciò. Vi era, infatti, una comune e condivisa volontà di modernizzare la Nazione. La ferrovia, i nuovi commerci e con essi le migliorate vie di comunicazione, la nascita di un primo seppur debole sistema industriale, l’introduzione dell’energia elettrica come forza motrice e per l’illuminazione, il telefono. Tutto concorreva, seppur ancora in presenza di enormi difficoltà e arretratezze a creare uno spirito che guardava con attenzione e fiducia al progresso. La costruzione di acquedotti rientrava appieno in questa volontà di modernizzazione. È del 1888 il progetto per la costruzione di un nuovo acquedotto a Senigallia, del 1890 il progetto di massima per la conduttura di acqua potabile per la città di Fano, redatto anch’esso dall’ingegnere dell’impresa Vinnaco Pallucchini. Vi era poi la Società italiana per le condotte d’acqua con sede in Roma, “costituita allo scopo di eseguire lavori idraulici in genere” e che “attende in modo speciale alla costruzione di condotte d’acque potabili” che alla data del 31 marzo 1889 dichiara di aver eseguito o avere in corso di esecuzione la realizzazione di acquedotti in 92 località tra cui Arcevia,  Camerano, Camerino, Macerata, Monte Porzio di Pesaro, Offida, Sarnano, Sant’Ippolito, Treia ed altri centri delle Marche e d’Italia. Pallucchini,[2] nell’illustrare l’opera scrive: Il progetto che ho l’onore di presentare ha lo scopo di provvedere l’abitato di Corinaldo di sufficiente acqua potabile per la soddisfazione di tutti i bisogni fisici, civili ed igienici. L’approvvigionamento pertanto dell’acqua per la città è cosa assai difficile e costosa, tanto da preoccuparne la presente generazione come fu pensiero costante di tutte quelle trapassate e di tutte le amministrazioni civiche che si sono succedute. L’estensore della relazione ricorda poi gli sforzi fatti nel passato e tuttavia a nulla si è mai approdato e le fontane, i depositi, gli acquedotti per metà dell’anno sono senza acqua e per procurarsene quella popolazione fa dei sagrifici: nell’estate scorsa (l’anno 1892) in cui la siccità fu straordinaria, durante la notte si vedevano in giro uomini, donne e ragazzi per attingere acqua a qualche chilometro di distanza e quella che riportavano era pessima, verdastra, contenete eccesso di carbonati, solfati di calce e materie ferrose in sospensione. Le considerazioni del Pallucchini sono le stesse che il Sindaco Perozzi ricorderà nella relazione presentata al Consiglio comunale nella seduta del 18 novembre 1895 riferendo in merito all’opera realizzata. Come la nostra Città sentisse da lungo tempo la necessità assoluta ed urgente di provvedersi in modo più efficace di quello che in tempi remoti era potuto ottenersi e di quello che avevano tentato le precedenti amministrazioni del primo e forse più indispensabile elemento di salute e di vita e cioè di buona ed abbondante acqua potabile la cui deficienza e pessima qualità era causa di stenti, di malattie e di malcontento quando nell’estate specialmente, i vecchi pozzi che la fornivano per intero al paese, rimanevano all’asciutto e la fonte suburbana (quella dell’attuale Via delle Fonti) non ne somministrava che un tenuissimo filo[3]. Le stesse considerazioni e preoccupazioni sono quelle che Bruno Morbidelli riferisce per il vicino comune di Ostra dove l’acquedotto sarà costruito nel 1910 dopo circa quarant’anni di discussioni e progetti. Il 10 settembre del 1881 in una discussione consiliare si afferma: tutti sanno in quali tristi condizioni trovasi questo Comune a cagione della mancanza di acqua potabile specialmente nella stagione estiva. Il 27 marzo del 1903 di nuovo si ribadisce: uno dei bisogni più urgenti sentiti da tutti che specialmente per considerazioni di igiene interessa sia al più presto soddisfatto, è quello della provvista di acqua potabile, mentre il 10 gennaio del 1906 il sindaco di quel Comune ricorda come: il paese attende dall’opera nostra quei benefici e quelle innovazioni che tutte le nazioni progredite hanno introdotto a difesa dell’utilità e dell’igiene alludendo al problema del rifornimento dell’acqua potabile e all’illuminazione elettrica[4]. Dinnanzi alla situazione precedentemente descritta, l’ingegnere Pallucchini continua affermando: Quindi necessità assoluta, estrema, urgente è di provvedere quella popolazione di acqua potabile. Imperocché elemento importantissimo della vita è l’acqua, sia per gli usi domestici, che lo scopo igienico e non è prudenza, previdenza, né giustizia di farla mancare alla povera gente a cui ormai tutti i sagrifici si ricchieggono. La relazione indica poi in cento litri il bisogno giornaliero pro capite di acqua (oggi in Italia se ne consumano mediamente 220 litri) e, tenuto conto che la popolazione dell’abitato era di circa milletrecento unità occorrevano centotrenta metri cubi di acqua per ciascun giorno (il 25 settembre 1895 e il 25 maggio dell’anno precedente la Commissione comunale che soprintendeva ai lavori misurò la quantità dell’acqua che arrivava al serbatoio che risultò essere di metri cubi 178,86 giornalieri il 25 settembre 1895 e metri cubi 177,41 il 25 maggio 1894). Passate in rassegna tutte le soluzioni immaginate, ma non praticabili per le ragioni singolarmente illustrate nella relazione, l’ingegnere scrive: Si rivolge allora il pensiero di trovare sorgenti naturali a maggiore altezza della Città e finalmente la si poté rinvenire in territorio di Montesecco Antico, Comune di Pergola in un fondo di proprietà del conte Marco Mattei alla distanza di circa diciannove chilometri da Corinaldo. Si trattava di diverse sorgenti tutte prossime l’una alle altre che tutte riunite misurano una portata media di litri due al minuto, minima di litri uno e settanta al minuto misurata in epoca di massima magra e di siccità straordinaria. Nel sottosuolo evvi altra quantità importante d’acqua ed essendo il lavoro di fognatura progettato si può raccogliere tutta ed avere così disponibile circa duecento metri cubi d’acqua nelle ventiquattro ore. Tralascio gli aspetti tecnici del progetto che trattano degli esami chimico fisici relativi alla qualità dell’acqua, ma è opportuno segnalare che le sorgenti si trovano a circa trecentocinquanta metri sul livello del mare e dunque ad una altezza sufficiente ad alimentare, per caduta, la fontanella di ghisa a due getti che si sarebbe dovuta costruire nella Piazza Maggiore di Corinaldo (l’attuale Piazza Il Terreno). La condotta, realizzata in tubi di ghisa “delle migliori qualità”, dopo aver raccolto l’acqua in località Montesecco Antico scendeva lungo il lato destro del fiume Cesano attraversando i comuni di Pergola, San Lorenzo in Campo, Arcevia e Castelleone di Suasa. Entrata nel territorio di Corinaldo, l’acqua, sempre per caduta, veniva sollevata raggiungendo la soprastante strada provinciale che collega Corinaldo a Castelleone per arrivare al serbatoio posto poco più a monte della chiesa rurale di Santa Maria della Misericordia. Qui entrava nella camera di raccolta divisa in due parti: quella di riunione e filtrazione delle acque e, a seguire, in quella di partenza. La camera di filtrazione prevedeva quattro successive serie di vasche dove l’acqua veniva filtrata da ghiaia, spugna e carbone per poi entrare nella  camera di partenza dove decantava in due vasche prima di essere immessa nella tubatura che l’avrebbe portata in paese. Sicché, scrive Pallucchini,  la conduttura può considerarsi divisa in due grandi sifoni: il primo della lunghezza di metri 15.760 va dalla sorgente al tombino di rotta ove le acque pervengono liberamente e il secondo sifone, lungo metri 2.280 che conduce l’acqua alla fontanella di mostra in Piazza Maggiore. Il progetto teneva conto anche della necessità di raccogliere in sufficienti depositi l’acqua che non veniva consumata di notte e a questo proposito dà notizia di un vecchio deposito esistente nei pressi del lavatoio pubblico di Via delle Fonti; di un secondo serbatoio collocato sotto l’attuale palazzo comunale he alimentava la fontanella del Calcinaro e di un terzo “deposito o pozzo” non meglio indicato eistente presso la Porta. Il paese, dunque, in precedenza, era rifornito d’acqua attraverso pozzi depositi o serbatoi e cisterne. Ma ciò non solo non rappresentava la soluzione stante la scarsità dell’acqua, ma poteva rappresentare un serio pericolo quale veicolo di trasmissione di malattie infettive. Pallucchini nella relazione illustrativa dell’acquedotto di Fano scrive: L’acqua dei pozzi a cui ordinariamente si ricorre per sopperire al bisogno è insalubre come lo è tutta l’acqua del sottosuolo della città e dintorni; e ciò si verifica massimamente in città, in cui i pozzi stessi si trovano a contatto o in prossimità di stalle o latrine o di fetidi cortili. Eppure l’acqua, che è elemento importantissimo della vita, viene ricercata con molta saviezza da quasi tutti i comuni che ne difettano, a costo anche di ingenti sacrifici, e lo stesso Governo ha considerato come spesa obbligatoria quella necessaria a procurarsela[5]. Ad Ostra il 30 ottobre del 1871 in occasione di una seduta consiliare si dispone per il riattamento delle cole delle cisterne di proprietà comunale esistenti negli ex conventi dei padri riformati e dei cappuccini. Nell’ex convento dei riformati ubicato all’interno del paese l’acqua veniva raccolta in due distinte cisterne e la distribuzione veniva effettuata ogni mattina dalle ore 7.00 alle ore 8.00 sotto la vigilanza di una guardia municipale [6]. Nel territorio di Senigallia la situazione non era certo migliore. Rossano Morici e Elvio Luzi nel loro lavoro dal titolo “Chiare fresche dolci acque di Senigallia, aspetti storici e situazione attuale” scrivono: La conferma che le acque delle frazioni erano di pessima qualità scaturisce anche dalle note di un attento consigliere comunale, Teodorico Pattonico, a proposito di Igiene nel Comune di Senigallia, che egli espose nella seduta consiliare del 27 febbraio 1890, Scriveva quel consigliere: “L’Acqua che si beve in tutte le nostre frazioni, (come verificasi da un’analisi fatta dal Sig. Guidotti) … è tutt’altro che potabile, è addirittura da annoverarsi tra le nocive. Infatti mentre un’acqua per essere potabile deve dare un residuo fisso non maggiore di 0,5 esse ne danno da 1,212 (Sant’Angelo) a 0,50 (Scapezzano). Il Cloro è abbondantissimo, da 0,3080 (Filetto) a 0,2040 (Scapezzano); la presenza di Cloro indica inquinamento certo. L’Anidride Nitrica a Montignano nel pozzo pubblico raggiunge la cifra enorme di 0,4368. Di sostanze organiche nel pozzo di Roncitelli se ne trovò lo 0,1296, e notate che si deve sopportare nell’acqua potabile appena tracce minime. Pertanto raccomando alla Giunta la ricerca di acque migliori per le frazioni, la conduttura delle acque di San Gaudenzio distolte dalle fonti e portate in quei luoghi già destinati nei quali non deve servire come bevanda, la chiusura del canale Penna, l’allontanamento dei letamai dalle abitazioni, provvedimenti che recarebbero enormi vantaggi alla pubblica salute[7]. L’acquedotto progettato per Corinaldo e una volta terminato, avrebbe interessato tutte le vie principali della città e parte delle secondarie e l’acqua oltre agli usi alimentari e di igiene personale poteva servire al lavaggio delle fogne, all’innaffiamento delle strade e all’estinzione degli incendi. Queste finalità erano garantite dalle indispensabili strutture, così ad esempio per far fronte agli incendi erano previste otto bocche che stante la forte pressione delle acque permettono un getto verticale di oltre quindici metri e orizzontale di oltre i venti. Per quanto riguarda l’uso alimentare e di igiene la relazione indica una fontanella di ghisa a due getti nella Piazza Maggiore (qui la relazione a margine annota: la fontanella di ghisa a due getti viene sostituita da una fontana ornamentale in marmo di Carrara con figurina in ghisa bronzata dell’altezza in tutto di metri tre e venticinque del costo di lire 2.429); di colonnini in ghisa a getto continuo od intermittenza nelle vie del Borgo San Giovanni; presso il convento degli agostiniani; nella piazzetta di Santo Spirito. Il costo totale dell’opera veniva preventivato in lire 183.390,48 cui aggiungere altre 16.609,52 quali somme a disposizione. Proprio l’ingente costo dell’opera rappresenta la maggior preoccupazione e costituisce il massimo impegno del Sindaco Perozzi. Significativa in questo senso la lettera inviata il 30 settembre del 1892 all’amico jesino Teodorico Bonacci, parlamentare dal 1876 e in quel periodo ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti. Alla pessima ed insalubre qualità ed alla penuria dell’acqua che nell’estate si riduce quasi ad assoluta mancanza, si attribuiscono le spaventevoli straordinarie stragi coleriche e tifoidee avvenute in varie epoche a Corinaldo e i casi isolati di tifo che costantemente serpeggiano fra la sua popolazione. Risulta da analisi chimica che i pozzi e le fonti pubbliche somministrano alla popolazione acque che non sono potabili e dichiarate nocive. Da lunghi anni la popolazione giustamente indignata reclama di essere provveduta d’acqua potabile e durante la siccità dell’estate, sofferente per la mancanza di essa, che si riduce un vero flagello, dà sfogo più vivamente al suo malumore. Corinaldo che fino dai primi moti del 1831 ha contribuito costantemente con enormi sacrifici e col sangue dei suoi cittadini, superando proporzionalmente tutti i paesi della Provincia, all’indipendenza ed unità della Patria, non ha finora risentito nessuno dei vantaggi materiali che sono pervenuti all’Italia dalla libertà conquistata. Sarebbe enorme che a Corinaldo, che ha resi tanti servigi alla Patria, nelle deplorevoli condizioni nelle quali si trova, col suo bilancio immune completamente da debiti e nel limite legale, non venisse in aiuto il Governo col concedergli il mutuo di favore di lire 195.000 per la conduttura dell’acqua potabile[8]. La lettera del Sindaco sottolinea ed evidenzia tre importanti questioni. Il primo è da ricondurre alle precarie condizioni igienico sanitarie e alla presenza periodica di malattie epidemiche. Tra queste va menzionata la grave epidemia colerica del 1855 che provocò a Corinaldo circa 400 morti[9] su una popolazione che nel censimento del 1881 ammonta a 5788 unità. I primi due casi furono registrati il 14 luglio 1855. Il dottor Giuseppe Ciccolini medico primario scrive: I coniugi Pasquale e Maria Domenica Cecchini, ambedue di età senile di condizione mendicanti sono stati circa le ore sei antimeridiane colpiti dal colera morbo[10]. Dal 14 luglio al 30 settembre vengono curati e assistiti nelle abitazioni del territorio 566 contagiati con 244 morti, 311 guariti e i restanti 11 ancora in cura. Dal 15 luglio al 17 settembre sono accolti nell’ospedale dei colerici 204 infetti. L’ospedale, in cui prestano servizio diciotto persone ed è amministrato dal padre cappuccino frate Cherubino di Ancona, era ospitato negli ampi locali che in precedenza aveva accolto la comunità dei frati minori conventuali di san Francesco. Nel 1817 il convento viene adibito ad ospedale provvisorio. Il 3 luglio di quell’anno il Consiglio Comunale si esprime a favore dell’erogazione del fondo (di pubblico sussidio) a vantaggio dello spedale provvisorio giacchè meglio non poteva questo impiegarsi che nel sussidiare quegl’individui che oltre ad essere oppressi dalla miseria si trovano anche privi del prezioso tesoro della salute[11]. I frati conventuali che per circa cinque secoli e mezzo avevano officiato nella chiesa dedicata a san Francesco e dimorato nel grande convento adiacente nel 1810 erano stati allontanati da questo luogo. Infatti, Napoleone, con decreto imperiale del 25 aprile 1810, ordinava la soppressione di tutti gli stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunità ed associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione. Si tratta del testo di legge fondamentale, applicato in tutto il Regno d’Italia, cui si ispireranno le successive normative emanate dagli Stati preunitari. In ossequio a tale provvedimento si vietava l’uso dell’abito talare, venivano espulsi dal Regno le monache e i frati stranieri e si obbligavano quelli italiani a rientrare nei dipartimenti di origine per mettersi a disposizione del vescovo. La circolare del 29 maggio dello stesso anno confermò poi la totale abolizione degli ordini religiosi e la conseguente riduzione di frati e monache allo stato secolare. I beni delle corporazioni religiose soppresse furono incamerati dal Monte Napoleone, che doveva provvedere a pagare le pensioni fissate ai religiosi, e successivamente immessi sul mercato, in quantità e con effetti diversi nelle varie regioni italiane, ma tali da costituire ovunque un momento importante del processo di redistribuzione del patrimonio fondiario. Nel 1814, dopo la caduta di Napoleone, Pio VII tornava a Roma. Qui non solo ristabiliva alcuni ordini soppressi, ma istituiva anche la Sacra congregazione per la riforma dei regolari, nella speranza di avviare una riforma radicale del clero, che versava quasi ovunque in uno stato di profonda crisi, al punto che monsignor Giuseppe Antonio Sala, nominato segretario della Congregazione, arrivava a sostenere che le soppressioni napoleoniche erano state il mezzo di cui si era servita la Provvidenza per purificare gli istituti religiosi, travolti da una decadenza quasi generale, entro e fuori lo Stato Pontificio[12]. Tornando al colera va detto che dei 204 pazienti ricoverati in ospedale, 117 morirono, 78 guarirono e i restanti 9 alla data del 17 settembre erano ancora degenti. Il morbo colpì indistintamente la popolazione senza differenze di età (dai fanciulli ai vecchi) e genere, mentre si diffuse maggiormente nelle campagne e con la scomparsa di intere famiglie. A Corinaldo si registrarono 770 casi di colera con 361 morti, 389 guariti e 20 ancora in cura alla data del 30 settembre 1855. I principali veicoli di contagio dell’infezione colerica sono l’acqua (agente causale per eccellenza) e gli alimenti(soprattutto vegetali). La trasmissione della malattia avviene per contatto tra le feci e la bocca (contatto oro-fecale), sia in via diretta (ad esempio, attraverso la scarsa igiene delle mani che vengono portate alla bocca), sia attraverso l’acqua o gli alimenti contaminati dalle feci. È pertanto evidente il nesso che corre tra l’approvvigionamento d’acqua e la diffusione del morbo. Per far fronte alle necessità di seppellire un numero così elevato di persone, decedute in poco più di due mesi, il Comune dovette ricorrere alla costruzione di un cimitero, occupando al riguardo un terreno di proprietà del signor Quirino Pasqualini ubicato in contrada Madonna delle Grazie e confinante, per un lato con l’omonima attuale chiesa delle Grazie[13].  Il XIX secolo è segnato dalle ricorrenti epidemie coleriche che si manifestarono per la prima volta nei mesi di luglio e agosto 1835 tra Piemonte e Liguria. Questa prima ondata pandemica causò oltre 146.00 morti; quella successiva del 1854 – 1856 altri 118.000 (dato questo sottostimato se solo si tiene conto che i due terzi dei Comuni colpiti dal colera non hanno indicato il numero dei decessi); quella che imperversò tra il 1865 e il 1867 causò oltre 160.000 morti. Poi altre manifestazioni epidemiche si presentarono nel 1884, 1885, 1887 e 1893. Il dato complessivo può ragionevolmente stimare in oltre 500.000 il numero dei decessi causati dal colera nel corso dell’Ottocento[14]. A conclusione di questo aspetto segnalo quanto scrive il 10 luglio 1855, quattro giorni prima che venga diagnosticato il primo caso di colera a Corinaldo, Camillo Amici, Commissario pontificio straordinario per le Marche ai governatori, alle magistrature comunali e alle deputazioni sanitarie della Provincia di Ancona. Per opportuna norma delle SS. LL. trovo a dover partecipare come il superiore Ministero dell’Interno dichiarasse in via di massima sino dal 1854 allorché si sviluppò il cholera nell’Archiospedale di santo Spirito in Roma, che in simili disgraziate emergenze potrebbero adottarsi solo quelle misure sanitarie e precauzioni prudenziali credute utili alla pubblica incolumità ma non però l’uso di cordoni e di tutte quelle misure portanti seco alcuna vessazione, spese e pagamento di diritti, aggiungendo aversi ad intendere che le accennate precauzioni non debbano affatto ritardare l’azione e la speditezza delle disposizioni governative, come pure il movimento commerciale[15]. Parafrasando: si a misure di prevenzione alla diffusione del morbo, ma senza creare ostacoli alla libera circolazione di persone e merci. Risultato: decine di migliaia di morti. Va detto che quando il Commissario scrive il vibrione o “bacillo virgola” responsabile dell’infezione colerica, epidemia che causò nel triennio 1854 – 1856, come detto, oltre 118.000 morti con le inevitabili ripercussioni sociali ed economiche, era stato osservato solo l’anno prima da Filippo Pacini e sarà isolato e coltivato da Robert Koch solo nel 1882, scienziato che nel 1905 sarà insignito del premio nobel per la medicina. Il secondo aspetto della citata lettera del Sindaco al Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti riguarda la figura e l’attività politica di Pompeo Perozzi che come ricorda Lidia Pupilli, aderì con convinzione agli ideali risorgimentali ricoprendo, alla fine degli anni Cinquanta, la carica di componente della Giunta provvisoria di governo e del Comitato di difesa nazionale, ragion per cui fu costretto ad esulare nel 1859 a Firenze. Il terzo punto è quello relativo all’ingente somma necessaria alla costruzione dell’acquedotto e motivo dell’accennata lettera inviata all’amico Ministro Bonacci. Il progetto dell’ingegnere Vinnaco Pallucchini comportava una spesa imponente per le casse comunali, cifra richiesta e poi ottenuta dalla Cassa Depositi e Prestiti dopo una lunga serie di domande inoltrate ad altre banche e tutte non andate a buon fine. Il Comune, infatti, in precedenza aveva fatto richiesta di finanziamento a molti istituti di credito (Cassa di Risparmio di Jesi, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa di Risparmio di Bologna, Credito Fondiario della Cassa di Risparmio di Bologna, Banca Nazionale – sede di Ancona, Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde) e di fronte ai no ricevuti si rivolgeva all’istituto bancario pubblico finanziato dalla raccolta postale. A tale proposito, in una lettera datata 21 luglio 1892 e indirizzata al Prefetto, il Sindaco scriveva: Non è improbabile che questa Amministrazione ottenga per via privata, come altri enti hanno ottenuto con l’appoggio di persone influenti, il mutuo dalla Cassa Depositi e Prestiti per la conduttura dell’acqua e perciò prego nuovamente e vivamente la S.V. Illustrissima a volermi rimettere approvati dalla On. Giunta Amministrativa, gli atti consiliari del 28 settembre e 23 ottobre 1891 con la maggiore possibile sollecitudine perché a questa Amministrazione non sfugga la favorevole occasione che le si è presentata. Teodorico Bonacci era diventato ministro il 15 maggio 1892, poco più di due mesi prima. Ottenuta l’approvazione del progetto, iniziava l’attività di persuasione del Sindaco che, come detto, aveva nel ministro jesino un interlocutore di peso e pronto a sostenerlo. Il ministro del Tesoro, Bernardino Grimaldi, in una lettera del 10 ottobre indirizzata a Bonacci scrive: Mi è grato di significarti che l’Amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti va a scrivere alla Prefettura di Ancona per completare e regolarizzare la documentazione della domanda del prestito di lire 195.000 del Comune di Corinaldo per la costruzione dell’acquedotto. Del procedere dell’iter della richiesta di prestito e dell’interessamento del ministro delle Finanze ne dà notizia al Sindaco Perozzi lo stesso Bonacci con una lettera del 16 ottobre in cui gli scrive: Caro amico, come ti è noto mi feci premura di raccomandare vivamente al mio collega delle Finanze la domanda di prestito del Comune di Corinaldo per la condotta dell’acqua potabile. Quando sembrava che tutto procedesse nel migliore dei modi e senza intoppi l’ufficio tecnico della Direzione della Sanità pubblica presso il Ministero dell’Interno bloccava l’iter del progetto obiettando che: non può accettarsi il metodo con cui vorrebbe procedersi alla chiarificazione delle acque poiché i filtri di sabbia, ghiaia ed altro riescono quasi sempre dannosi a causa del difficile ricambio dei materiali da filtro che lo costituiscono ciò che avviene sovente con grave pregiudizio della bontà dell’acqua. Tempestiva ed efficace la risposta del Comune sia sotto il punto di vista tecnico, sia politico. A distanza di un mese dalle obiezioni sollevate il 30 novembre 1892 il Presidente del Consiglio dei Ministri scriveva a Bonacci quanto segue: il mutuo richiesto dal Comune di Corinaldo per la conduttura dell’acqua potabile non si è potuto autorizzare perché la Sezione Tecnica di questa Direzione di sanità ebbe a riconoscere non potersi accettare il metodo con cui si vorrebbe procedere alla chiarificazione delle acque. E poi concludeva scrivendo: Ad ogni modo la tua autorevole raccomandazione si terrà presente per sollecitare la definizione della pratica, allorché verrà riproposta. Finalmente il mutuo veniva accordato e se ne ha notizia da una lettera del 20 dicembre 1892 indirizzata al Colonnello Domenico Grandi, dal 23 novembre di quell’anno eletto deputato per il collegio di Senigallia. L’assessore delegato (Italiano) Angeloni scrive al parlamentare: Giusta interprete sentimenti popolazione festante ottenuto prestito acquedotto validissimo appoggio vivamente ringrazio. La Cassa Depositi e Prestiti aveva concesso un mutuo di 195.000 al tasso di interesse del 5% restituibile in venticinque anni. Si trattava davvero di una spesa ingente, necessaria a portare acqua potabile a Corinaldo e attinta ad una sorgente distante circa diciannove chilometri. Dell’entità della spesa possiamo avere contezza se pensiamo che lo stipendio annuo di un dipendente comunale si aggirava attorno alle 460 lire e la costruzione dei due plessi scolastici di Sant’Isidoro e San Domenico avevano comportato la spesa complessiva di 8.273,36 lire[16]. L’acquedotto costò come 47 plessi scolastici o 35 anni di stipendio di un dipendente del Comune. La costruzione di un’opera così importante indusse la Giunta prima e il Consiglio Comunale poi a rivedere il progetto di costruzione della fontana di Piazza Maggiore, elemento visibile del nuovo acquedotto. Fu così che nella seduta consiliare del 18 gennaio 1894 il Sindaco riferì all’assemblea che: la Giunta ha fatto redigere un progetto di una Fontana ornamentale da collocarsi in Piazza maggiore. Sebbene la Giunta vi fosse già autorizzata, pur tuttavia ha preferito di sentire l’opinione del Consiglio prima di dargli esecuzione. L’impresa, come detto, nel progetto, avrebbe l’obbligo di costruire la fontana per una spesa di lire 900 e consisterebbe, come a tutti è noto, in una semplice colonna di ghisa a due getti e di nessuna figura. Volendosi invece abbellire la Piazza di una Fontana che riesca di ornamento e di decoro, la Giunta ha fatto redigere il progetto che ora si presenta e che importa una spesa di lire 1.700 in più da prelevarsi dal fondo di riserva delle lire 25mila in mani dell’Amministrazione. Il verbalizzante poi aggiunge: dal Consiglio viene presa conoscenza e visione della perizia e disegno della fontana che riscuote l’approvazione generale e con voto unanime per alzata lo stesso Consiglio autorizza l’esecuzione del progetto proposto[17]. Il 18 novembre dell’anno seguente, come già detto, il sindaco relaziona al Consiglio sulla realizzazione dell’opera[18]. Il documento fornisce ulteriori informazioni sulla fontana. In esso si afferma che il progetto del Pallucchini prevedeva una semplice e indecorosa colonna in ghisa a due getti; la nuova fontana come al progetto e disegno dell’ing. Matteucci…”. Pertanto il progettista della fontana è Paolo Matteucci. Più avanti apprendiamo che a un tal Francesco Nicoletti sono corrisposte 1.715 lire per la fontana in marmo posta nella Piazza maggiore, mentre il prezzo della figurina in ghisa posta alla sommità della fontana costò 175 lire e 30 centesimi. La fontana inizialmente collocata nella Piazza Maggiore oggi Piazza Il Terreno venne poi, al termine della prima guerra mondiale, smontata per lasciare il posto al monumento ai caduti e trasferita nel luogo dove si trova attualmente. Per chi volesse è possibile vedere il disegno ottocentesco della fontana nell’ufficio della responsabile della segreteria e servizi amministrativi del Comune di Corinaldo.

Eros Gregorini 


[1] L. Pupilli, Dall’Unità alla Grande Guerra in Corinaldo, storia di una Terra marchigiana, Età contemporanea, a cura di M. Severini, Ostra Vetere, 2011, pp. 155 – 156.

[2] Si riportano ora alcuni stralci della Relazione accompagnatoria al progetto definitivo per la costruzione d’acqua potabile in Corinaldo. Il documento, redatto dall’Ingegnere Vinnaco Pallucchini e datato 2 giugno 1893 con gli allegati progettuali si trova nella sede dell’ufficio tecnico del Comune di Corinaldo.

[3] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Carteggio Amministrativo (1861 – 1893); busta 5 deliberazione consiliare del 18 novembre 1895.

[4] G. Raffaeli B. Morbidelli, a cura di Montalboddo la Terra. Ostra la città. Le stagioni dell’unità nazionale dal Regno alla Repubblica, vol. 3, Fano, pp. 229, 273

[5] La relazione redatta dall’Ingegnere Vinnaco Pallucchini e datata 1890 si trova nella sede dell’ufficio tecnico del Comune di Corinaldo.

[6] G. Raffaeli B. Morbidelli, a cura di Montalboddo, cit. pp. 165, 272.

[7] R. Morici E. Luzi Chiare fresche dolci acque di Senigallia, aspetti storici e situazione attuale G. Raffaeli B. Morbidelli, Fano 2006, pp. 22 – 23.

[8] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Carteggio Amministrativo (1861 – 1893); busta 140.

[9] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Carteggio Amministrativo (1861 – 1893); busta 96. Nel documento si dice: “l’epidemico e contagioso morbo-colera ha prodotto nella città di Corinaldo tale un desolamento che si contano circa 400 vittime che hanno soggiaciuto disgraziatamente per forza di tale malattia” il dato esatto dei decessi è di 361 unità.

[10] Archivio Comunale Corinaldo, Archivio del Governatore di Corinaldo, Documenti amministrativi e giudiziari privi di titolario (1842 – 1860); busta 21. La documentazione citata si trova nel fascicolo Bollettini sanitari dei Comuni di Ancona, Barbara, Corinaldo, Montenovo e Monteporzio (1855 genn; lu- ott.).

[11] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo II Restaurazione pontificia (1815 – 1860), Delibere Consiliari 1810 – 1832; busta 1).

[12] F. De Giorgi, Rosmini e il suo tempo. L’educazione dell’uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa (1797-1833), Brescia 2003, pp. 188-197.

[13] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Carteggio Amministrativo (1861 – 1893); busta 96. Per il trasporto dei deceduti al cimitero delle Grazie vedi il fascicolo Casi di colera registrati a Corinaldo, città e campagna e nota dei cadaveri trasportati al cimitero delle Grazie (1855 luglio 1855 settembre) in Archivio Comunale Corinaldo, Archivio del Governatore di Corinaldo, Documenti amministrativi e giudiziari privi di titolario (1842 – 1860); busta 21.

[14] L. Del Panta, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV – XIX). Torino 1980.

[15] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Carteggio Amministrativo (1861 – 1893); busta 96.

[16] L. Pupilli, cit. p. 153.

[17] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Delibere consiliari e podestarili; busta 5.

[18] Archivio Comunale Corinaldo, Fondo post unitario (1861 – 1947), Delibere consiliari e podestarili; busta 5.