Santuario Madonna dell’Incancellata – Corinaldo

di Paola Polverari

Non è raro trovare all’ingresso di vari paesi una piccola costruzione a modo di nicchia che racchiude l’immagine di un Santo o della Madonna, su tavola dipinta o in affresco, solitamente adorna di fiori freschi e di una luce. La devozione verso queste cosiddette “figurette” è molto antica, risale alla prima diffusione del Cristianesimo nelle nostre campagne, quando si sostituirono a poco a poco le statuette degli dèi pagani, anche queste piantate negli incroci o in luoghi significativi degli abitati, con le immagini della nuova religione cristiana. La consuetudine perdurò lungo il Medioevo fino in età moderna ed è all’origine anche della Chiesa dell’Incancellata: è lo storico corinaldese e insigne Maestro domenicano Vincenzo Maria Cimarelli (Corinaldo 1585-Brescia 1662) che ci parla delle origini della devozione all’immagine della Madonna del latte, un’iconografia molto diffusa nella rappresentazione pittorica cristiana, in cui la Vergine Madre è rappresentata con il figlio al seno, dal quale sugge il latte. Nel nostro caso si trattava di un affresco, dipinto sul muro di una modesta edicola eretta poco lontano dall’attuale sito, in zona bassa e soggetta ad alluvioni: non a caso devozione legata alla presenza di acque. Proprio per la posizione troppo soggetta ad allagamenti, l’edicola venne spostata in una zona più elevata in contrada Cassalini o di Pozzo antico, ampliata, difesa da una cancellata da cui trae il nome e, nel 1586, posta sotto la cura e la tutela della prestigiosa Confraternita del Gonfalone, già sorta in Corinaldo nel 1581: il compimento della costruzione è celebrato con una lapide di arenaria entro cornice quadrangolare, posta sopra il portale d’ingresso, datata al 1690: IN ONORE DI DIO OTTIMO MASSIMO, DI MARIA MADRE DI DIO DELL’INCANCELLATA, LA SOCIETA’ DEL GONFALONE DI CORINALDO A SPESE DEI DEVOTI  HA PORTATO A TEMINE QUESTO TEMPIO NEL… La data è oggi illeggibile in seguito ad un malaccorto restauro in cemento, ma è ricavabile da Inventari dei beni della Confraternita, consultati dallo storico concittadino Eros Gregorini all’interno dell’Archivio vescovile di Senigallia.  Nelle decorazioni pittoriche della cella della Madonna, sul soffitto viene infatti rappresentata la croce bianca e rossa su fondo turchino, emblema della Confraternita del Gonfalone.     Poiché la devozione alla Madonna e la fama delle sue grazie si diffondeva sempre più, dal 1625 la “picciola fabbrica” venne rafforzata ed ampliata; il porticato, già eretto intorno alla cappellina per ricovero dei pellegrini, fu coperto da un tetto e divenne l’aula della chiesa stessa.  Fu utilizzato anche materiale antico, proveniente dalle rovine della città romana di Suasa, posta a poca distanza da Corinaldo, nella valle del Cesano.

Possiamo infatti vedere, proprio all’entrata, una acquasantiera la cui tazza è sorretta da una colonna di marmo antico su cui compare, in un cartiglio rettangolare, l’iscrizione in latino ”SONO FATTA CON LE ROVINE DI SUASA, CORROSA DAI DENTI DEL TEMPO”, sovrastata da uno scudo con croce e completata con la data 1635. Il manufatto ci conferma idealmente i legami storici tra la città di Suasa, distrutta dai barbari di Alarico negli anni 590 d. C., e i paesi, sorti attorno all’undicesimo secolo, sulle pendici delle colline circostanti, tra i quali anche Corinaldo. Ma, molto di più, ci trasmette il messaggio tanto caro al Cimarelli: la superiorità della religione cristiana sul paganesimo, che si sottomette simbolicamente, come questa colonna, a sostenere la tazza dell’acqua santa, fonte della vita eterna promessa da Cristo.

Prima di raggiungere l’immagine della Madonna chiusa dai cancelli, gli antichi costruttori della chiesa hanno voluto creare quasi un percorso spirituale, rivolgendosi con sollecitazioni ed inviti in lingua latina al devoto visitatore: all’esterno, nel fregio sopra il portale d’ingresso, l’iscrizione latina così esorta: ENTRA, TU CHE LEGGI, MIRA ATTENTAMENTE COLEI CHE E’ LA VITA DEL MONDO, PREGA CON FERVORE, LA VERGINE BEATA TI DARA’ UN SEGNO DELLE SUE BENEVOLI GRAZIE.

Altre due scritte, oggi molto deteriorate, ancora invitano alla confidenza verso la Madonna: sopra la porta di ingresso di sinistra, estremamente deteriorata, si leggeva: LA VERGINE CHE GUARDA DALLA CANCELLATA, LIBERA LE ANIME DALLA COLPA, CONDUCE IN CIELO I PECCATORI.

 Quella della porta d’ingresso di destra è meglio conservata: FERMATI VIANDANTE, INNALZA QUI LE TUE PREGHIERE, LA VERGINE E SANTA MADRE PREGATA DA UN CUORE SINCERO TI INONDERA’ CON UNA RUGIADA DIVINA: riferimento all’acqua raccolta in un pozzo ancora presente nella chiesa, nella parete interna di sinistra, acqua usata per aspergersi ed ottenere guarigioni da molti mali: in antico è testimoniata anche la lebbra. Delle guarigioni erano testimonianza chiara i numerosissimi ex voto che tappezzavano le pareti, come conferma Cimarelli, andati dispersi nel tempo e soprattutto dopo il crollo del soffitto avvenuto una mattina dell’inverno del 1939, che lasciò la chiesa nel più completo abbandono per molti anni. Degli ex voto rimane oggi una modesta raccolta agli altari ed una interessante in sacrestia, che raccoglie piccole lamine di metallo, raffiguranti il corpo umano e parti di esso, oggetto di guarigioni ricevute per grazia, come si usava deporre anche nei santuari pagani dell’antichità.

Esiste ancora però una testimonianza, sempre in sacrestia, della diffusione della fama del Santuario anche nei paesi vicini: è affidata ad una lapide datata 1629: la fa inscrivere in corretto latino e con caratteri di accurata fattura, il signor GALEOTTO ARCANGELI DI MONTENOVO (oggi Ostra), il quale offre una donazione in denaro, affidata ad un notaio ivi citato, affinché i Priori della Confraternita facciano celebrare ogni settimana, per sempre, due Sante Messe a suffragio dell’ anima sua e dei suoi familiari.

Altre lapidi rimangono a testimonianza della storia della chiesa e del suo rinnovamento durante la seconda guerra mondiale: fu in quegli anni infatti che si riaccese la devozione verso “Maria regina della pace” a cui accorreva la popolazione anche sotto i bombardamenti, in pellegrinaggio a piedi nudi e in preghiera. Fu risistemato il tetto, sgombrata l’aula dalle rovine del crollo del 1939 e fondata una Associazione di “Amici del Santuario   dell’Incancellata“, promossa dal concittadino Antonio Ciceroni tra i soldati reduci: essi si dedicarono alla valorizzazione del Santuario, memori e grati per la protezione ottenuta dalla Madonna , in guerra e spesso in prigionia. All’altare di sinistra, anticamente dedicato alla Madonna di Loreto, del quale resta una bella statua oggi collocata in una nicchia in alto della parete sinistra, fu affisso un Crocifisso, cosiddetto del Reduce, costruito in un campo di concentramento dai soldati corinaldesi, oggi sostituito dalla pala dipinta nel 1950 dal concittadino Mirco Mariani ( Corinaldo 1913-Ancona 1992); in essa è raffigurata Santa Maria Goretti, inginocchiata  in preghiera davanti alla Madonna dell’Incancellata, verso la quale provava grande devozione e che veniva spesso a visitare a piedi, attraverso la campagna, provenendo dalla vicina casa natale, oggi centro di spiritualità gorettiana: questa la testimonianza della madre della martire, Assunta Goretti che, tornata a Corinaldo dopo l’esodo nelle paludi Pontine e il martirio della figlia, le sopravvisse per lunghi anni. Il nome di Assunta e di un’altra sorella di Maria, Ersilia, compare sopra la porta laterale sinistra in una lapide di marmo affissa nell’anno stesso della santificazione della giovane martire, 1950: è la prima testimonianza epigrafica dell’avvenuta santificazione in Piazza san Pietro a Roma, officiata dal pontefice Pio XII il 24 giugno. Nella stessa occasione, i reduci avevano ottenuto di poter incoronare con un diadema d’oro il dipinto della Vergine: resta dell’avvenimento la testimonianza epigrafica affissa a una lesena della parete destra, che recita QUESTA MIRACOLOSA IMMAGINE VENNE INCORONATA DAL CAPITOLO VATICANO IL 14 AGOSTO 1950

L’altare di destra ha invece mantenuto la struttura antica. Entro un artistico motivo architettonico costituito da una trabeazione con timpano, sorretto da due colonne con capitello corinzio, inquadranti una cornice, si trova la grande pala ad olio, attribuita dal critico d’arte Donato Mori al pittore fermano Ubaldo Ricci ( Fermo 1669 – 1732), che raffigura San Gaetano da Thiene (Vicenza 1480 – Napoli 1547), conosciuto come il Santo della Provvidenza, che riceve tra le braccia il bambino Gesù. Il Santo ebbe tale visione nel 1517 dopo aver trascorso tutta la notte di Natale a pregare nella cappella del Presepe nella basilica romana di S.  Maria Maggiore. Accanto due putti sostengono un giglio (simbolo di castità e purezza) e un volume aperto, attributi di Gaetano insieme al teschio rappresentato in primo piano come ricordo della vita terrena e delle cose del mondo precarie e transitorie. Gaetano, nel 1524, fu tra i fondatori dei Teatini, sacerdoti che convivevano in ascesi e povertà, tanto rigorosa da affidarsi completamente alla Divina Provvidenza per il sostentamento, senza trascurare l’assistenza ai bisognosi e l’apostolato. L’attribuzione è stata effettuata da Mori perché la figura del santo con Gesù in braccio, assomiglia molto a quella dipinta dal fermano Ubaldo Ricci circa un trentennio dopo per la chiesa di S. Filippo a Ripatransone e il Bambino è identico a quello nel S. Felice da Cantalice eseguito dallo stesso pittore nel 1709 per i Cappuccini di Fermo.

Alla stessa parete destra è affissa in alto la lapide del committente del dipinto, datata 1691, l’anno del completamento della chiesa ad opera della Confraternita del Gonfalone, come si è detto: la fece apporre il presbitero corinaldese Filippo della nobile famiglia corinaldese dei Fontini che avevano evidentemente lo iuspatronato dell’altare fatto erigere ed ornare da loro “ALLO SCOPO DI PLACARE L’IRA DIVINA”, come recita il testo latino. Nel corso del Seicento infatti si alternarono molte calamità nelle Marche e in Italia, anni di carestia, tifo petecchiale, peste, e San Gaetano con i sacerdoti Teatini, da lui fondati, si prodigò moltissimo a favore dei malati e dei poveri: giusto dunque venerarlo da parte dei Fontini, famiglia in estinzione, di cui Filippo è l’unico superstite, anche per la prossimità della santificazione di Gaetano, avvenuta nel 1671.

Alle pareti laterali del tempio sono stati dipinti nel Settecento quattro medaglioni decorativi, con figurazioni allegoriche e iscrizioni latine: nel primo a sinistra un raggio di sole attraversa un cristallo che, senza essere leso, lascia passare la luce: il paragone è con Maria che, conservando intatta la verginità, profuse la luce del mondo, Gesù Cristo. Nel successivo la conchiglia che viene fecondata dalla rugiada cadente dal cielo, è figura di Maria che divenne genitrice per l’ombra fecondante dell’Altissimo. Nella parete di destra è raffigurata una vite aggirata intorno ad un albero: l’iscrizione spiega che, come l’olmo protegge la vite ma non la feconda, così Giuseppe custodì la Vergine sposa, ma non la rese madre. Accanto, l’Arca di Noè è ancora simbolo di Maria: infatti nell’arca di Noè il genere umano fu salvato, ma in Maria, arca dell’alleanza, il genere umano fu redento.      Più in alto, nel fregio della trabeazione decorativa sostenuta da dieci lesene con capitelli di stile toscano, corrono queste parole in latino: RICORDATI O VERGINE MARIA DI INTERCEDERE AL COSPETTO DI DIO IN NOSTRO FAVORE, AFFINCHE’ EGLI ALLONTANI DA NOI LA SUA INDIGNAZIONE

Ci avviciniamo ora ai Cancelli che separano la cappella originaria dall’aula destinata ai fedeli, importante opera di ferro battuto, cosparso di stelle e di decorazioni in bronzo: all’interno, una trabeazione sostenuta da lesene con capitelli, è fittamente ornata da stucchi decorativi di gusto barocco rappresentanti angeli, cherubini in atto di venerazione, una corona di gigli e la mistica colomba al centro di una raggera, sotto il drappeggio di un baldacchino sorretto da angeli. Nel cielo della cappella, in epoca recente sono stati inseriti quattro stemmi, di Pio XII, del Vescovo diocesano, del Comune di Corinaldo e della Confraternita del Gonfalone. Al centro della volta, sopra l’altare, entro un cartiglio è inserita la scritta, tratta dal Cantico dei Cantici, INTER UBERA MEA COMMORABITUR, cioè RIPOSERA’ SUL MIO SENO, riferita al Bambino Gesù. Altra scritta sovrasta il baldacchino della Madonna: IN CALAMITATE RIFUGIUM, rifugio nelle avversità.  Alle pareti della cappella si inseriscono quattro porte, due reali e due simulate, sopra le quali dal citato pittore Mirco Mariani sono stati raffigurati quattro tondi all’interno di corone di rose stilizzate , che alludono ai vari stadi della storia del Santuario: dalla primitiva edicola protetta dal cancello davanti a cui una donna inginocchiata attinge l’acqua miracolosa, sotto la città di Corinaldo che si staglia in alto, alla prima costruzione ampliata, meta di cardinali e di grandi prelati seguiti dal popolo, alle fasi del passaggio del fronte bellico a Corinaldo nel 1944, fino alla glorificazione della Madonna da parte del popolo festante che le offre il Crocifisso dei Reduci.

Purtroppo il Santuario ha subito un’ultima calamità in seguito al terremoto del 1997: dichiarato inagibile e chiuso dal marzo 1998, solo nel gennaio 2003 è stato possibile riaprirlo al culto, grazie all’interessamento dell’Arciprete Parroco mons. Umberto Mattioli e ai volonterosi e devoti abitanti della contrada, che hanno ottenuto l’interessamento della Sovrintendenza ai Monumenti per i restauri, con impegno di vigilanza e custodia. Purtroppo molti oggetti ed arredi, ancora presenti nel 1980, quando fu redatto un elenco specifico, risultano mancanti.

Ricordiamo che una riproduzione dell’immagine della venerata Madonna del Latte dell’Incancellata, è stata consegnata da una delegazione della parrocchia di Corinaldo, nell’ottobre 1997, al Passionista Padre Giovanni Alberti del Santuario di Santa Maria Goretti a Nettuno, in partenza per la Terra Santa, perché la collocasse nella Cappella della Madonna del Latte a Betlemme, insieme con altre immagini dello stesso soggetto provenienti da varie località del mondo.

 Ricordiamo altresì che l’immagine della Madonna dell’Incancellata vigila premurosa sui Corinaldesi anche dall’alto della torre civica del Palazzo Comunale: è infatti incisa nel bronzo dell’antica campana lì collocata, insieme con il Crocifisso e con Sant’Anna, protettrice della nostra città.

 Eccoci infine davanti all’affresco che ha dato origine a tanta storia: molti pellegrini, qui convenuti negli anni precedenti al 2007, ritornando al nostro Santuario rimarrebbero stupiti di non trovare più la tradizionale immagine della Madonna, mostrata per decenni dietro un cristallo ovale di protezione, ma una figura diversa, esposta direttamente in affresco sul muro originario. Si tratta infatti di un sorprendente recupero, iniziato per impulso dell’Arciprete Parroco mons. Umberto Mattioli nel 2007 e condotto con perizia dalla ditta Isidoro Bacchiocca di Senigallia, sotto il controllo della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico delle Marche. Sono state rimosse dalla superficie dell’immagine le successive ridipinture che ne avevano stravolto l’impianto e i colori originari in vari periodi della storia, tra cui, a metà dell’Ottocento, quella del pittore Mattia Lauretani, citato dal concittadino Domenico Clemente Sforza nei suoi “Cenni storico artistici” dedicati al Santuario nel 1949. Con sorpresa ed entusiasmo di tutti, sotto il bisturi del restauratore è emersa la primitiva immagine a fresco, che, per i suoi caratteri stilistici, è stata attribuita dalla Sovrintendente Claudia Caldari ai primi anni del Cinquecento, ad opera di un maestro di scuola marchigiana (forse urbinate). La documentazione della ricognizione e del restauro, a firma di Claudia Caldari, è presente nel Catalogo della Mostra Raffaello e Urbino – la formazione giovanile e i rapporti con la città natale, aperta in Urbino, alla Galleria Nazionale delle Marche, dal 14 aprile al 12 luglio 2009, catalogo edito da Electa Mondadori nel 2009.

Ai nostri giorni dunque ritorna l’effigie della venerata immagine della Madonna dell’Incancellata, così come la videro e la onorarono i nostri antenati.

Notizie più ampie e documentate sulla Chiesa dell’Incancellata possono essere reperite nel volume I “TESTIMONI DI PIETRA – Le epigrafi di Corinaldo dall’Evo antico al secolo XVII”, scritto da Paola Polverari ed edito dal Comune di Corinaldo nell’anno 2005, per i tipi di Tecnostampa – Ostra Vetere.