Donnino Ambrosi, detto Donnino da Urbino e il Crocifisso ligneo policromo e dorato per la chiesa di San Pietro di Corinaldo, ed ora conservato nella chiesa di San Francesco
di Eros Gregorini
Il 22 settembre 1580 Gregorio XIII nomina Francesco Brunori rettore della chiesa plebanale di San Pietro di Corinaldo. Sei anni prima, il suo predecessore Francesco Orlandi aveva fatto erigere la nuova monumentale chiesa parrocchiale, in tre navi, secondo l’arte della moderna architettura partita1. È ragionevole supporre che si rendesse necessario dotare parte degli altari di nuove suppellettili e fu cosi che Francesco Brunori, rimasto in carica sino alla sua morte avvenuta il 6 settembre 16292, si fece carico di provvedere anche in tal senso. Vincenzo Maria Cimarelli suo conterraneo e quasi coevo (1585 – 1662) scrive: «Ornò, mentre egli visse, di nobili e preziosi ornamenti questa sua chiesa; particolarmente di un Crocifisso scolpito in legno da Donino d’Urbino, d’inestimabil valore, per l’artificio mirabile, che in quello riluce»3.
Prima ancora della testimonianza del Cimarelli è il vescovo Pietro Ridolfi a dare notizia della presenza della scultura. Il Ridolfi tra il 1596 e il 1597 compie la visita pastorale e dà vita a quel manoscritto noto come Historiarum libri duo…, oggi dato alle stampe. Nel descrivere la chiesa parrocchiale di San Pietro di Corinaldo annota «et imago crucifixi lignea egregie a Donino Urbinate»4. Brunori commissionò anche una delle due campane che sono indicate in un inventario redatto il 9 dicembre del 1627 e dove fece incidere il proprio nome e la data: MDCXIII. Il citato inventario ricorda poi la presenza a mano sinistra dell’altare maggiore uno altare con una immagine del santissimo Crocifisso grande5. L’opera è ricordata in San Pietro negli inventari del 1746, del 1784 e come appartenente alla chiesa parrocchiale in quelli del 1888 e del 1894. In seguito all’abbandono di questa chiesa e al trasferimento e della parrocchia a San Francesco, il Crocifisso passa nell’attuale sede6.
La scultura mostra con grande verismo il corpo emaciato del Cristo morto inchiodato alla croce, con il capo reclinato sulla spalla destra. L’Artista con grande capacità rappresenta i particolari anatomici dell’uomo dal costato piagato, alla tensione muscolare, alle vene, alle gambe piegate e sovrapposte. Non vi è dubbio che si possa parlare di un’opera di elevata qualità artistica.
Scarse sono le notizie su maestro Donnino Ambrosi di Urbino. Non conosciamo la data di nascita, ma solo quella di morte avvenuta a Senigallia il 21 settembre 1599 «Morse mastro Donnino scultore d’Urbino et fu sepolto in vescovado»7. La città feltresca, dove egli nasce è, a quel tempo, ricca di stimoli artistici e qui operavano scultori e plasticatori quali Federico Brandani, Lattanzio Ventura, Fabio Viviani, Marcello Sparti, Pomilio Lanci e i fratelli Giambattista ed Elpidio Finale. Per altro Franco Negroni, illustre ricercatore e storico urbinate, afferma che si sia formato a Venezia8.
Poche le opere certe o attribuite a Donnino da Urbino e tutte circoscritte in un breve arco di tempo. La prima di cui si ha notizia riguarda la statua in bronzo della Fortuna eseguita per il comune di Fano. Il 14 luglio del 1590 nel palazzo priorale della città viene sottoscritto il contratto tra il comune e l’artista nel quale Donnino Ambrosi da Urbino, scultore, viene incaricato di fare la statua, promette, a nome proprio e dei suoi eredi e successori «di fare a tutte sue spese una statua di Fortuna di bronzo da darseli però da la medesima Comunità d’altezza di piedi tre et tutto secondo la forma et modello presentato da lui et accettato da li suddetti signori Confalonieri, Priori, Eletti et officiali che gli l’hanno restituita sigillata con il proprio sigillo del comune e con obbligo di haversela a riportare in tal maniera in mano di loro Signorie insieme con detta statua, la quale egli promette di haver data fatta et finita con tutto le sue proporzioni et circostanze secondo in detto modello in termine di sei mesi prossimi a venire rimossa ogni eccezione per prezzo et nome di prezzo di scudi settantacinque»9.
Il compenso pattuito per l’esecuzione della scultura è fissato, come detto, in 75 scudi. Per dare un’idea più precisa del valore, elenco, qui di seguito, gli importi del salario corrisposti per i mesi di gennaio e febbraio 1590 ad alcuni dipendenti del comune di Corinaldo: «A messer Antonio Honesto, medico per suo salario di detti mesi, fiorini cinquantasei, bolognini ventisei e quattrini quattro; a Camillo Cinassi nostro cancelliere per suo salario di detti mesi fiorini ventisei, bolognini ventisei e quattrini quattro; al maestro Pietro Melchiorri fiorini 33, bolognini 13 e quattrini 2; al cerusico (chirurgo anche non laureato ndr) Curtio Bonifatii fiorini 16, bolognini 26 e quattrini 4; al camerlengo (economo comunale ndr) Ambrosio Magini fiorini 13, bolognini 13 e quattrini 4; al pesatore Gaspare Conforto fiorini 4, bolognini 0 e quattrini 010.
Occorre precisare che alla fine del XVI secolo circolano nello Stato della Chiesa, sia i fiorini, sia lo scudo e il rapporto tra scudo e fiorino era di circa 1 a 2. In sostanza i 75 scudi accordati a Donnino sono pari a circa 150 fiorini, ovvero corrispondono a 9 mensilità del maestro, a 12 mensilità del cancelliere e a 18 mensilità del cerusico. Con 75 scudi tra il 1591 e il 1993 si potevano acquistare circa 1.452 chilogrammi di grano11.
Non è noto se la scelta di decorare la fontana con la statua della Fortuna sia da ricondurre ai committenti o all’Artista, certo è che essa rimanda all’antico nome della città; ovvero quel Fanum Fortunae (Tempio della Fortuna) innalzato forse in ricordo della battaglia del Metauro che nell’anno 207 a. C. vide sbaragliato dalle legioni romane l’esercito del cartaginese Asdrubale. Certo è che in quegli anni la zecca locale coniava due monete, Giuli d’argento di papa Gregorio XIII (1572 – 1585) dove nei rispettivi versi erano raffigurate immagini della dea Fortuna. Poco si sa dello scultore cui fu affidata il disegno del conio.
Tornado all’opera commissionata al maestro urbinate va detto che i tempi di consegna non furono i sei mesi come da contratto, ma si dovettero aspettare ben tre anni prima che all’inizio del mese di marzo del 1594 la scultura arrivasse a Fano12.
Il motivo del ritardo nella consegna dell’opera vanno ricercate nella difficoltà di eseguire la fusione nella fonderia senigalliese di un tal Matteo.
La vicenda così viene raccontata dal Mabellini nel suo studio sulla statua della Fortuna pubblicato nel 1923: «La ragione di questa lentezza si deve certamente ricercare nelle molte difficoltà che l’Ambrosi incontrò nella fusione che egli ne faceva in Sinigaglia; onde dovette spesso ricorrere al Comune per denari e per metallo, come pur fa sapere il Castellani. E Camillo Flavio in una sua lettera da Sinigaglia del 18 maggio del 1592 informava il Comune, dopo esserne stato richiesto, come avesse parlato a Maestro Donnino o avesse anche visto la statua gettata, solo che nella sua pura rozzezza se bene quando sia ridotta a rifinimento sia per riuscir bella, e seguitava ora si tratta sollecitarlo et rissolutamente m’ha promesso d’averla dar compiuta per tutto giugno prossimo, aggiungeva infine ai signori del Comune io non mancarò di solicitarlo anco con ogni importunità acciò restino in quanto che posso serviti da me. Ma lo scultore non poté mantenere la sua parola, anche perché la fusione si ripeté con cattivo esito per ben quattro o cinque volte, come si rileva da una curiosa e interessante supplica diretta essa pure al Gonfaloniere e ai Priori di Fano da Flaminio Francescucci, datata da Sinigaglia 6 novembre 1593 la quale si trova fra le carte Amiani della biblioteca Federiciana in una mano dello stesso Stefano Tomani Amiani.
Messer Flaminio assicura dunque subito per averla veduta, e tocca che la Fortuna è gettata et è bellissima ed è grande mezzo piede più della misura che fu data al maestro, la quale, secondo l’istromento, doveva essere di tre piedi. E continua poi E ben vero che ella è senza il bracio sinistro per mancamento del metallo, et ogni volta che le Signorie Vostre. volessero supplire al mancamento di questo metallo, infra due giorni se gli giusteria il braccio che sarebbe di quindici libbre di metallo al più, et in termine di vinti, vinticinque giorni la sarebbe in Fano; ma se le Signorie loro non suppliscono a questo mancamento, credo che per dei mesi non si farà, perché nanzi che ella sia rinetta et con quello metallo che leverà il Maestro d’attorno alla figura per gettare il detto braccio, ci anderà tempo assai; e questo è quanto gli posso dire sopra tal fatto. Maestro Donino desidereria che le Signorie Vostre Magnifiche et Illustrissime gli aiutasse de un poco de denaro, questo saria come a dire di tre o quattro scudi, perché il poveretto si truova molto male per aver fatto molte spese nel gettare la detta figura da quattro a cinque volte; et invero a quello che mi ha raccontato il Sig. Matteo in casa del quale si è gettata a me pare che sia stato un miracolo che detta statua, non è potuta venir bene, perché nel maggior calore della, fornace il modello si agghiacciava come non fosse mai stato sul fuoco, et il povero maestro era disperato, et da ultimo hanno fatto benedire la fornace, il metallo e la forma, e cosi per grazia di Dio la statua è venuta bellissima, salvo del braccio, come ho detto di sopra, per mancamento del metallo. Termina poi con una perorazione che, nella sua ingenuità, è di una efficacia grande nel dipingerci al vivo lo povere condizioni in cui trovavasi l’artista Le Sig. Vostre potranno far intendere agli Eletti della Fonte che la statua è fatta et il bisogno del maestro, et non mancate di pregare loro che vogliano suplire a detto mancamento e bisogno del povero maestro; che vi dico certo che lui è in grandissimo bisogno, perché gli ha, bisognato impegnare molte cosette per fare hora questa figura e per vivere, e se ella non gli veniva bene questa volta, lui era, risoluto di non volerne fare altro; ma quando l’ha veduta che è venuta bene e bella, vi dico che il poveretto sia risuscitato da morte a vita; siccome credo che le Signori Vostre intenderanno meglio per una sua»13.
Una volta giunta a Fano, la scultura non viene collocata sulla fontana per cui era stata commissionata, ma a causa della sua nudità troppo ostentata viene sistemata in una nicchia in cima alle scale del Palazzo Pubblico dove resta sino al 1611 quando è finalmente posta sulla fontana. Qui rimane per poco tempo perché viene portata nel Palazzo della Referendaria. Nel 1639 si propone di fonderla per farne una stata della Madonna del Rosario come voto per la peste. Rimessa nella fontana vi resta sino al 1794 allorché venne tolta «per essere troppo scandalosa». Negli anni successivi subisce alterne vicende14.
Dagli inizi del Novecento l’opera per il suo valore artistico è portata ed esposta nel museo civico. Al suo posto prima un economico calco cementizio e poi un’identica fusione in bronzo torna a far zampillare l’acqua in piazza XX Settembre.
Nel 1595 all’Ambrosi vengono commissionate cinque statue in bronzo per il tabernacolo della cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale di Urbino. È lui a realizzare un “Dio Padre” e quattro angioletti che gli vengono pagati il 6 aprile e il 6 giugno del 1596. In quest’ultima data gli vengono corrisposti quattro scudi «per sua fatiga che ha da refare quattro candelieri de la Capella»15. I quattro angioletti eseguiti dallo scultore già nel 1940 non esistevano più e le altre opere furono trafugate nel dicembre 198516.
Fortunatamente esiste una foto del tabernacolo con Dio Padre benedicente e 4 angeli con i simboli della passione di Cristo scattata prima della sottrazione del 198517.
A lui, definito stuccatore, il comune di Senigallia nel 1597 corrisponde quattro fiorini «per aver fatto l’ornamento dell’altare della Concettione e presa la pianta della chiesa di santa Maria Maddalena per mandarla a Pesaro»18e sempre per la città misena potrebbe aver eseguito e fuso presso la fonderia della zecca le quattro anatre che ornano dal 1602 la fontana di Piazza del Duca19.
Le opere commissionate ed eseguite dall’Artista risalgono tutte agli anni compresi tra il 1590 e il 1597: 1590 – 1594 statua delle Fortuna di Fano; 1595 le cinque statue per il tabernacolo della cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale di Urbino; nel 1597 l’ornamento dell’altare della Concezione spettante al comune di Senigallia. A prima del 1596 è il Crocifisso di Corinaldo e a prima del 1599, forse le quattro anatre della fontana di Piazza del Duca di Senigallia.
Nemmeno due mesi dopo dalla sua morte, il fratello Francesco, si rivolge al capitolo e ai Canonici della cattedrale di Urbino ricordando che Donnino «aveva fatto molte fatiche per la cappella (quella del Santissimo Sacramento ndr.), che non era stato pagato et che li figliuoli erano remasti senza niente, che se gli lassassero per le sue fatiche et per l’amore di Dio»20.
Francesco Ambrosi, detto «mastro Adagio» valente intagliatore, come segnala Negroni, muore a Casteldurante nel settembre 1627, circa ventotto anni dopo Donnino che aveva lasciato i figli, come si è detto, in povertà.
A questo punto credo sia lecito avanzare l’ipotesi che Donnino Ambrosi sia morto in giovane età. Il fatto che le sue opere siano state eseguite tutte tra il 1590 e il 1597, che sia deceduto quando i figli erano ancora in tenera età e che il fratello gli sopravviva per ventotto anni sono tutti fatti che concorrono a rendere plausibile l’ipotesi accennata.
1 V. M. CIMARELLI, Istorie dello Stato d’Urbino…, Brescia 1642, p. 120.
2 CINGOLANI, La parrocchia, p. 366, nota 20.
3 CIMARELLI, Istorie, p. 120.
4Pietro Ridolfi. Storia della città di Senigallia e della sua Diocesi, a cura di A. MADDAMMA, N. BUCCI, F. SOLAZZI, 2017, pp. 384.
5 CINGOLANI, La parrocchia, p. 112.
6 E. GREGORINI, Donnino Ambrosi detto Donnino da Urbino. Crocifisso ligneo policromo e dorato, in Sotto un’altra luce. Antologia di opere restaurate dal territorio a cura di C. CALDARI – E. GREGORINI, Bastia Umbra 2013, pp. 48.
7 Ibidem, p. 48.
8 F. NEGRONI, Il duomo di Urbino, Urbino 1993, pp. 104 – 105.
9 A. MABELLINI, La statua della Fortuna in Fano, curiosità storiche, seconda edizione, Fano 1923, p. 7. Sulla statua di Fano vedi anche: C. CASTELLANI, La statua della Fortuna in Fano ed il suo autore Donnino Ambrosi di Urbino, in “Nuova Rivista Misena”, Anno V, n. 9, 1892, pp. 131 – 133. Sulla fontana vedi anche: A. MAMELLINI, Fanestria. Uomini e cose di Fano, Fano, 1937, pp. 5 – 17; S. TOMANI AMIANI, Guida storico artistica di Fano, Fano, a cura di F. BATTISTELLI, 1981, pp. 27, 205; F. BATTISTELLI, A. BERARDI, P. PICCINELLI, Fano: la Piazza, Fano 2005, pp. 78 – 83; E. CAPALOZZA, Sulla fontana della Piazza Maggiore a Fano, pp. 87 – 95, in Nuovi Studi Fanesi, Supplemento al Notiziario di informazione sui problemi cittadini, 1979; L. DE SANCTIS, Le fontane di Fano alimentate dall’acquedotto romano, Fano 2006, pp.61 – 85.
10 Archivio Storico Comunale Corinaldo (Ascc), Antico Regime, Entrate e Uscite, Registri Generali 62 – 66, n. 62 c. 59r.
11 (Ascc), Antico Regime, Riformanze e Consigli 42 – 45, n. 45 cc. 100v – 101r, seduta dell’8 settembre 1591 pretium grani sit undecim scutorum cum dimidio pro qualibet salma. Antico Regime, Entrate e Uscite, Registri Generali 62 – 66, n. 64 cc. 21R – 22v. Nell’anno 1592 una soma di grano viene acquistata dal Comune al prezzo di fiorini 20 e mezzo; poi a prezzo di fiorini 23 e in seguito al prezzo di fiorini 20 e bolognini 25. Antico Regime, Entrate e Uscite, Registri Generali 62 – 66, n. 65 c. 21r. Anno 1593 Retratti de grani. Da messer Pietro, maestro di scuola per una soma di grano vendutali fiorini vinti. Per la corrispondenza tra soma, salma e chilogrammi vedi S. ANSELMI, Pesi e misure tra Montefeltro, Romagna, Umbria e Toscana nella prima metà dell’Ottocento, in La montagna tra Toscana e Marche. Ambiente, territorio, cultura, economia, società dal Medioevo al XIX secolo, a cura di S. ANSELMI, Milano 1984, p. 331).
12MABELLINI, La statua, p. 8 nota 1.
13 Ibidem, pp. 14 – 17.
14 Ibidem, pp. 8 – 10.
15 NEGRONI, Il duomo, pp. 104 – 105,, nota 44.
17 F. NEGRONI, G. CUCCO Urbino, Museo Albani in Musei d’Italia – Meraviglie d’Italia, Bologna 1984, p. 25.
16 Ibidem, p. 105, nota 46.
18 Archivio Storico Comunale Senigallia, Antico Archivio, Vol. 21, c. 5r.
19 M. BONVINI MAZZANTI, Potere e res aedificatoria. Storia di Piazza e Palazzo del Duca a Senigallia, Ostra Vetere, 1992, p. 127, nota 68.
20 NEGRONI, Il duomo, p. 105, nota 44.