Lettera Aperta di un Socio sulle mura di Corinaldo
Il nuovo impianto di illuminazione lungo un tratto di mura di Viale dietro le monache recentemente realizzato ha dato avvio ad un vivace dibattito sui social che ha avuto al centro i lavori in quanto tali per poi estendersi alla questione della coesistenza tra le mura e le alberature. Quella della presenza o meno dei tigli a ridosso della fortificazione è certamente una questione che nasce da differenti e legittime sensibilità. Tuttavia credo sia doveroso fare una scelta e sull’argomento vorrei esprimere una mia opinione. Tre sono le fasi storiche della fortificazione. La prima e originaria attiene alla difesa militare del castello. In un’epoca di guerre locali tra Comuni e Comuni e tra Comuni e Signorie le mura costituivano la difesa per eccellenza. Gli Statuti del 1457 redatti dunque prima dell’ampliazione del 1484/1490, alla Rubrica L, stabilivano che il Podestà, nel periodo del suo mandato semestrale fosse obbligato a “far fare o riparare dieci canne (metri 5,69) di mura nei tratti più deboli o dove si tema maggior debolezza …” teneatur et debeat fabricari facere seu resarciri decem cannas muri in locis et muris dicte terre debilibus ubi maior debilitas seu maius dicte terre periculum immineret. Vincenzo Maria Cimarelli narrando dell’assedio del 1517 fa pronunciare a Pietro d’Antonio, Gonfaloniere di Corinaldo, queste parole: “abbiamo queste mura, che ne faranno riparo e serviranno per validissimo scudo contro i colpi dei nemici”. A questa prima fase terminata definitivamente nel 1631 quando ormai vengono meno le guerre locali e Corinaldo cessa di essere terra di confine tra lo Stato della Chiesa e il Ducato di Urbino segue la seconda fase in cui le mura mantengono la funzione di sostegno della struttura urbana interna (di qui i ripetuti lavori di manutenzione, restauro e rifacimento della cortina muraria). Inoltre le mura faranno da base di appoggio per nuovi edifici: da Palazzo Cimarelli, al convento delle suore benedettine di Sant’Anna, a quello che è oggi il teatro comunale, sino ad arrivare alle semplici dimore adiacenti a Porta del Mercato e a Porta Nova). Alla funzione militare iniziale e a quella della conservazione dell’abitato interno si aggiunge, poi, una terza fase: quella della tutela architettonica del manufatto. È del 18 marzo 1913 la nota della Regia Soprintendenza per la conservazione dei monumenti delle Marche degli Abruzzi con la quale il Soprintendente Icilio Bocci comunica al Sindaco di Corinaldo “l’importante interesse delle mura castellane” ai sensi della Legge n. 364 del 20 giugno 1909. Da qui inizia la lunga e felice stagione della valorizzazione del più importante monumento di Corinaldo, ovvero del perimetro fortificato meglio conservato nella Regione come assicura il TCI (Touring Club Italiano). L’importanza architettonica del manufatto è stata al centro di numerosi lavori di ricerca di architetti e storici quali Dario Cingolani, Massimo Frenquellucci, Stefano Lenci, Ettore Montesi, Italo Pelinga, Gianni Volpe ed anche dello scrivente. Non credo vi sia nelle Marche, un altro perimetro fortificato che abbia ricevuto una simile attenzione e che sia stato oggetto di così numerosi studi e pubblicazioni. Detto ciò la questione che si pone ora è che un significativo tratto di quest’opera, la più prestigiosa di Corinaldo, è oggi invisibile perché occultata da una serie di tigli piantumati a ridosso delle mura stesse tra il 1922 e il 1923, come riferisce Nicola Bordi Bolognini (Corinaldo 19 aprile 1889 – 12 maggio 1982) nel suo testo dal titolo Parlando di Corinaldo. Credo sia giunto il momento di affrontare la questione immaginando la possibilità di togliere gli alberi che coprono le mura e di metterne a dimora dei nuovi in aree appropriate. La scelta non è alberi si o alberi no, bensì salvaguardare e mostrare ciò di quanto più bello possiamo vedere e mostrare e, allo stesso tempo, trovare un luogo più idoneo per le nuove alberature. La bellezza o l’ombrosità del viale non verrebbe meno, ma le nostre mura potranno essere ammirate in tutta la loro bellezza e maestosità
Eros Gregorini